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Trebisacce da visitare: la chiesa di Sant’Antonio

Risale almeno al XVIII secolo – periodo nel quale vi furono le prime attestazioni sulla stessa – la chiesa di Sant’Antonio Abate di Trebisacce, sita nella parte alta del centro storico, cui, peraltro dà anche il nome, la cui denominazione più antica fu quella di Santa Maria dell’Idria.

La cappella è dedicata al santo patrono degli animali, nei confronti del quale i trebisaccesi sono particolarmente devoti, proprio come avviene per San Giuseppe e, in misura ancor maggiore, anche per San Rocco, pur non essendone i patroni.

Sant’Antune viene tradizionalmente festeggiato il 17 gennaio con la benedizione degli animali e la processione della statua del santo. Un rito ripetuto anche quest’anno, con la partecipazione del corpo bandistico della città, fondato nel 1910, presieduto da Ludovico Noia e diretto da Pino Lufrano e Antonietta Raimondi

La Cappella presenta una facciata molto sobria, sovrastata da un piccolo e discreto campanile a vela: gli interni sono anch’essi tipici di una chiesetta rurale: dal 1909 fu impreziosita dalla statua del Santo cui è dedicata.

Il Museo dell’Arte Olearia: un gioiello made in Trebisacce

In origine era un frantoio, impiantato nel 1934 ed operativo fino alla metà degli anni ’80 del secolo scorso. Dopo vent’anni di abbandono, grazie all’impegno della famiglia Noia, è divenuto un museo, uno scrigno della cultura contadina oltre che dell’arte olearia che un tempo era diffusissima nella città di Trebisacce.

A curarlo, e ad accogliere i visitatori, c’è Ludovico Noia, ultimo discendente di un’antica famiglia cittadina, storico dell’arte: un tempo – ci spiega – la strada dov’è ubicato, nella parte alta del centro antico della città, non troppo distante dalla cappella di Sant’Antùne (Sant’Antonio Abate, ndr), era ricchissima di frantoi.

Un po’ per la benevolenza della sorte, un po’ per la dedizione dei suoi proprietari, il frantoio è rimasto praticamente intatto, conservato in modo eccellente nella sua struttura e, soprattutto, nelle sue attrezzature.

Negli anni 2000, dopo l’acquisto del sito da parte della famiglia Noia, è stato sottoposto ad un intervento di restauro, che ne consente la fruizione secondo le funzionalità attuali.

La prima sala è quella dedicata all’arte olearia, che conserva, ancora, nel suo interno, attrezzature per la molitura delle olive (molazza in pietra, lavatrice, dosatore, torchi, fiscole, carrelli per fiscole, separatori, vasche di raccolta dell’ olio, vasche di decantazione con la zona per il deposito della sansa). Davvero pregevoli sono i torchi seicentesco ed ottocentesco: è piacevole ammirarne le differenze e individuare i progressi compiuti, nel corso dei secoli, in questo campo.

La seconda sala, invece, è quella dedicata alla cultura contadina: tantissimi sono gli oggetti conservati, che portano alla mente anche del viaggiatore più distratto testimonianze di vita vissuta di un tempo, nella semplicità più assoluta e, spesso, anche nel disagio, con quella dignità d’altri tempi che solo le case agricole possiedono. Non manca anche qualche attrezzo da pesca: del resto, l’abitato di Trebisacce è stato uno dei primi nella zona jonica a svilupparsi anche lungo la fascia costiera.

La terza sala, cui si accede da una botola, era strettamente funzionale all’esercizio del frantoio: presenta, invece, due vasche di decantazione e relativo scolo delle acque reflue.

L’ingresso, per chiunque voglia visitare il museo, è gratuito: è possibile effettuare, però, una donazione all’associazione A.O.P.C.A. Ludovico Noia” – Associazione Onlus Promozione Cultura e Arte Ludovico Noia, intenta in scopi benefici e non profit.

Trebisacce e la ceramica, un legame nato più di tremila anni fa che ritorna

È di pochi mesi fa l’apertura di “Zietta Ceramiche”, un curato laboratorio sito sul lungomare, che ha arricchito l’offerta di produzioni ceramiste nella città di Trebisacce, realizzando meravigliose creazioni, come il corallo in foto. Da ormai qualche anno “I sogni di Minú” di Roberta Proto, a due passi dal Pontile, ha portato la ceramica in stile vietrese sulle sponde dello Jonio. Ma la ceramica è nel dna di Trebisacce: è sorprendente come la città stia riscoprendo, a oltre tremila anni di distanza, una tipicità che ha segnato la sua identità storica (ed archeologica). Non sono rare, infatti, le testimonianze di ceramica in stile miceneo (certo, molto diversa da quella attuale) rinvenute negli scavi di Broglio, e risalenti alla tarda età del Bronzo, ovvero tra il XII ed il XIII secolo a.C.

“Dalla fine del Bronzo Medio e per tutta l’etá del bronzo recente (facies “Subappenninica”), le popolazioni locali entrano in diretta relazione con i navigatori micenei – riporta infatti il sito del comune di Trebisacce nella parte in cui racconta della storia del sito di Broglio, a sua volta riprendendo concetti presenti in una serie di fonti bibliografiche storiche anche consultabili online – Gruppi di artigiani egei si inseriscono nelle comunità della Sibaritide, e anche gruppi di Enotri viaggiano verso la Grecia.
Sono acquisite nuove tecnologie: per la prima volta in Italia viene utilizzato il tornio per produrre vasi in ceramica depurata e dipinta.
Si fabbricano vasi simili per forme e decorazioni alla ceramica micenea vera e propria, soprattutto per contenere bevande pregiate e coppe in ceramica dal colore grigio uniforme e brillante, simili nella forma al vasellame locale”.

Lo sapevi che? Trebisacce e la tradizione scomparsa di pesca dei murici

Da sempre Trebisacce è ben nota per la sua tradizionale vocazione alla pesca. Forse non tutti, però, ne conoscono a fondo le sue radici storiche. È interessante la descrizione che fa, nel 1930, il “Bollettino sulla pesca, piscicoltura ed idrobiologia”, che descrive come si svolgeva la pesca in città.

La secca di Amendolara era inesplorata, i pescatori avevano serie difficoltà ed anche un po’ di timore nel recarsi a svariate miglia dalla costa. Solo con l’avvento delle imbarcazioni a motore questo lembo di mare divenne decisamente più conosciuto e frequentato, con effetti purtroppo ancora oggi visibili.

Ma al di sotto del pontile, che negli anni ’30 era ancora in legno, abbondavano i murici. Venivano pescati – si legge – con caratteristiche reti a maglia larga, per consentire l’ingresso del mollusco. L’esca utilizzata? Una semplice spugna da inserire all’interno della nassa.

La pesca delle seppie era già diffusa, e ben 80 erano i pescatori in città divisi in 32 battelli.

Trebisacce era inoltre famosa anche per la produzione di zappino, un pigmento di derivazione vegetale impiegato per tingere le reti da pesca.

https://books.google.it/books?id=l4NSwVFUeJYC&pg=PA1093&dq=trebisacce+anguille&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwje2tKa6Lb4AhXESPEDHdMCDnkQ6AF6BAgIEAM#v=onepage&q=trebisacce%20anguille&f=false